di Gianluca Campanella
Continuiamo a pedalare con Oltrefood on Tour direzione Azienda Agricola Pederzani a Pieve di Cusignano, ormai diventata simbolo alternativo dell’arte molitoria parmense specializzandosi nella coltivazione biologica di frumento, farro e granturco.
Arriviamo a Fidenza e da lì iniziamo a pedalare lungo il percorso della via Francigena, un’emozione non da poco considerando che qualche anno fa ho percorso queste stesse strade che mi hanno poi portato fino a Roma.
Siamo nelle terre dell’alta Val Parola, percorrendo una stretta strada che si inerpica tra due dorsali di rilievi collinari, il paesaggio è adrenalinico e l’impressione è che si respiri decisamente un’altra aria.
Tra le lievi sinuosità che ne muovono il profilo collinare spunta il mulino della famiglia Pederzani ricavato dalla ristrutturazione di vecchie stalle ottocentesche.

Abbiamo appuntamento con Fabio ma il caldo degli ultimi giorni l’ha spinto ad anticipare la mietitura e trebbiatura in un campo a qualche chilometro di distanza. Ci accolgono i suoi tre fratelli maggiori Pederzani che ci tengono subito a precisare “questo è un lavoro duro e quando si miete non c’è nulla che possa rallentare la tua giornata e, se c’è bisogno, ci si alza all’alba e si va a dormire a mezzanotte. Ma tranquilli, arriverà”.
Durante l’attesa, Gilberto ci racconta che l’attività molitoria è piuttosto recente e che la loro è una storia di riconversione avvenuta meno di dieci anni fa: in precedenza l’azienda si occupava di allevamento di bovini e produzione di latte per il Parmigiano Reggiano. “Fabio è sempre stato un ragazzo controcorrente ed è stato lui a spingere per questo cambiamento” ci spiega emozionato. “Per noi è stato difficile seguirlo inizialmente ma aveva ragione, il comparto del latte e del Parmigiano Reggiano è ormai in declino, senza un futuro”.
Dopo un’oretta di racconti di cultura contadina, arriva Fabio con il trattore carico di frumento appena raccolto. Quando scende dal trattore per venirci incontro, suo fratello prende il suo posto e versa il grano all’interno di uno dei silos che circondano il mulino. Dopo decenni di lavoro assieme non c’è bisogno di dire cosa fare, basta uno sguardo per capire qual è il prossimo passo.

Inizialmente terranno le diverse varietà di frumento separate all’interno dei silos e per evitare qualsiasi trattamento chimico (nei grossi ammassi piuttosto che rischiare trattano anche il biologico), i cereali sono puliti 2 volte: la prima dopo circa 15 giorni dalla trebbiatura, la seconda durante l’inverno.
Successivamente, una volta fatta l’analisi del chicco (indagando la quantità di glutine), faranno una miscela per ottenere la miglior farina di quell’anno. Un po’ come l’enologo per il vino, anche Fabio deve trovare il giusto equilibrio: ogni anno la sua farina cambia, cosa che non si può dire per i grandi produttori. “L’agricoltura non è teoria ma solo pratica, perché ci sono migliaia di variabili che incidono sul tuo lavoro.
Anche se io semino solo frumenti di qualità, la stessa varietà dà risultati diversi in base alla posizione.”
In circa 30 ettari di terreno seminano tre varietà diverse di grano tenero (due per la panificazione e uno ricco di glutine per i lievitati) oltre che il “Senatore cappelli” come varietà di grano duro.
Fabio ha deciso di non utilizzare le varietà antiche perché sono povere di glutine e soprattutto crescono molto in altezza rischiando l’allettamento e la formazione di muffe: l’incubo per ogni agricoltore. E proprio a questo proposito ci spiega che ha cercato di instaurare rapporti commerciali con gli agricoltori della zona (nel raggio di 10 km) per incentivarli a tenere vivi i terreni coltivando le loro semenze. “La concorrenza dell’estero è molto forte e il prezzo basso taglia le gambe dei locali. Perciò l’unico modo per resistere è produrre una farina “diversa” dalle altre, tenendo conto che il 50% del tuo lavoro nel mulino dipende sempre da come lavori in campo”

Ci spostiamo proprio nel mulino, il cui cuore pulsante sono le macine in pietra di granito francese. Questa tipologia di macinatura garantisce che le farine mantengano inalterate tutte le caratteristiche organolettiche, perchè di fatto il prodotto non si scalda evitando che le proteine vengano denaturate. Il risultato è una farina più scura in quanto i livelli di proteine e sali minerali sono di gran lunga superiori rispetto ai prodotti industriali.
Tutto d’un tratto Fabio accende il sistema intricato di tubi, sacchi e macine per mostrarci le varie fasi di lavorazione del cereale. Il fracasso è assordante ma d’improvviso sembra di fare un salto nel tempo inebriati dal profumo che si sprigiona dall’impianto.
Crusca, cruschello, germe, semolino, qui trovano tutti la stessa dignità e valore, non vengono eliminati come in industria. Il mugnaio ce li affida tra le mani in modo tale che possiamo accarezzarli, annusarli, assaggiarli…una sensazione unica.
Il metodo di lavorazione e la presenza di questi elementi garantiscono un sapore rustico peculiare e il mantenimento della maggior parte delle proprietà nutritive. Provate a fare un pane o una torta con le sue farine e apprezzerete maggior gusto e sapidità. Tutta un’altra cosa.
Ma al contempo, proprio queste caratteristiche di produzione e la presenza del germe hanno fatto nascere due paradossi: Fabio non può scrivere sull’etichetta la parola “FARINA” perché i livelli di proteine e ceneri sono più alti di quelli consentiti dalla legge italiana. Inoltre la data di scadenza è più che dimezzata.

Da questo sistema si ottengono tre tipologie di farine: tipo 0, semi integrale e l’integrale, oltre quelle di grano duro, farro e granturco. Di fatto non viene prodotta la 00 perché la vera macinatura a pietra non raggiunge questa dimensione. Ma è anche una questione di prezzo e redditività: “Su 1 quintale di grano con l’integrale faccio 90 chili di farina mentre con la 00 ne farei 70 di chili. La 00 se uno ci pensa, non ha proprio niente, è quasi come uno scarto, non c’è più germe e semolino”. Nell’industria invece si macina il chicco, si separano le sue componenti (farina e crusca) e poi si rimischiano. Hai un processo in più che fai pagare al cliente.
Il confezionamento (insacchettamento, pesatura e cucitura) avviene a mano, permettendo di utilizzare sacchetti di carta non trattata e riuscendo ad attuare una filiera corta completa del prodotto: coltivazione, trasformazione, confezionamento e vendita diretta.
Stiamo imparando a conoscere Fabio e, oltre ad essere un produttore controcorrente, ci è subito chiaro che è una persona che non accetta compromessi. Lo capiamo quando ci spiega un altro paradosso interessante: le sue farine non sono certificate biologico nonostante i campi lo siano. Gli ci vorrebbe un’altra certificazione specifica (e altri soldi) solo per il mulino per poter aggiungere il logo sulla confezione. “A questo punto preferisco fare un lavoro di maggiore attenzione sui campi e farmi conoscere dai consumatori per la mia filosofia”.

Ormai è arrivato a fornire più di 4.000 famiglie, grazie al passaparola, ai GAS ma soprattutto perché quando conosci Fabio e i suoi prodotti non si può che apprezzarli. Non lo troverete mai nei mercatini locali (perché richiede molto tempo ed energie) e soprattutto nei supermercati. “Tutti i supermercati fanno acquisti in scala ovvero vincolano al reso e quando la farina sta per scadere lo ridanno al produttore con il rischio di andare in forte perdita”. Cosa che in piccoli negozi o da Oltrefood non capita.
Dal 2015 in azienda si producono anche undici tipi diversi di gallette andando a combinare base cereali e legumi: mais, farro, pisello, lenticchie, riso rosso, sorgo. Anche questo processo è affascinante: si frantuma grossolanamente il seme, si inserisce questo sfarinato nel macchinario e, senza aggiungere acqua o sale, si ottengono in pochi secondi i quadrotti di gallette. Tutto grazie al semplice fattore temperatura: le piastre raggiungono i 270°C e permettono la soffiatura degli ingredienti. Assaggiarle appena sfornate sono fantastiche. In inverno arriva a produrre 50kg di gallette al giorno (una galletta pesa 10gr!).
Possiamo dire apertamente che è riuscito a dare una dignità (e un gusto) anche alle gallette, solitamente viste come pasto completo di persone troppo attente alla dieta.

Si è fatta ormai ora di pranzo e prima di risalire in bici chiediamo a Fabio i suoi buoni propositi per il futuro. “Vendere l’azienda e andare a vivere su un’isola deserta, l’importante che l’acquirente non sia un industriale” ride in fare provocatorio. “Scherzi a parte, non abbiamo obiettivi di ingrandirci, ormai siamo arrivati al massimo della produzione, quindi non ci resta che mantenere alta la qualità per soddisfare più persone possibili”.
Durante questo viaggio, raramente siamo riusciti ad entrare così nel profondo di tutti i processi di lavorazione scoprendoli di un’incantevole complessità su un prodotto che tutti usiamo con apparente banalità. Da domani quando mangeremo una fetta di pane ci ricorderemo di un uomo estroverso, diretto ma con un cuore sincero.
Ringraziamo Mauro Carbonaro per le foto e Marta Razzetti per l’editing di ogni articolo.
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